



LA REGINA DELLE CATACOMBE
La catacomba di Priscilla, conosciuta in tutti i documenti topografici e liturgici antichi, si apre sulla Via Salaria con ingresso presso il convento delle Suore Benedettine di Priscilla. Per la quantità di martiri qui sepolti, questo cimitero era chiamato la regina catacumbarum.
Scavata tra il secondo e il quinto secolo, prende inizio da ambienti ipogei preesistenti, dei quali i principali sono un arenario, un criptoportico e l’ipogeo con le tombe degli Acili Glabrioni. A tale famiglia appartiene la donatrice del terreno, la nobildonna Priscilla, la cui memoria ricorre il 16 gennaio nel Martirologio Romano, che la indica come benefattrice della comunità cristiana di Roma. Questo cimitero, perduto come tanti altri per l’occultamento degli ingressi a protezione dai saccheggi, è stato uno dei primi ad essere ritrovato nel sedicesimo secolo e perciò abbondantemente derubato di lapidi, sarcofagi, tufo e corpi di presunti martiri.
Conserva pitture particolarmente belle e significative: la visita comprende le principali di queste.
Scavate nel tufo, tenera roccia vulcanica utilizzata per la costruzione di mattoni e calce, le gallerie si estendono per circa 13 km. di lunghezza, in vari livelli di profondità. Il primo piano, il più antico, si snoda in percorsi irregolari di gallerie, nelle cui pareti sono ricavati i “loculi”, le tombe comuni dove il corpo era posto, avvolto in un lenzuolo, direttamente sulla terra, cosparso di calce ad impedirne la rapida putrefazione, e murato con marmi o tegole. Sulle tombe le iscrizioni erano in greco o in latino, o c’erano piccoli oggetti a permettere il riconoscimento delle tombe anepigrafe. Solo in questo primo piano, dove erano sepolti i Martiri, troviamo piccole stanze, i “cubicoli”, tombe di famiglie abbienti o di martiri, e gli arcosoli, altro tipo nobile di tomba, spesso decorati con pitture a soggetto religioso. Sono raffigurate, per lo più, storie bibliche dell’Antico o del Nuovo Testamento, che stanno ad esprimere la fede nella salvezza e nella risurrezione ottenuteci da Gesù. Sulle lapidi tombali sono frequenti anche i simboli, significativi per i cristiani e incomprensibili per i pagani: il più noto è il pesce, che nasconde le cinque parole “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore” attraverso le iniziali delle cinque lettere greche che compongono la parola “ICTUS”, pesce.
La stanza prende il nome dalla pittura della lunetta di fondo, raffigurante una giovane donna, con un ricco vestito liturgico e un velo sul capo, con le braccia alzate in atteggiamento di orante. Ai lati della donna orante sono rappresentate due scene uniche nella pittura cimiteriale, probabilmente episodi della sua vita. Al centro della volta è dipinto il Buon Pastore nel giardino paradisiaco, tra pavoni e colombe, preceduto, nel sottarco d’ingresso, dalla scena della fuoruscita del profeta Giona dalla bocca del mostro marino, chiara espressione della fede nella risurrezione. Nella lunetta di sinistra del cubicolo è raffigurato il sacrificio di Isacco e in quella destra i tre giovani nella fornace di Babilonia, entrambi esempi di totale fede nel Dio che salva e per le prime cristiane prefigurazioni della salvezza portata da Gesù.
Le pitture, incredibilmente ben conservate, risalgono alla seconda metà del terzo secolo.
Nel soffitto di una nicchia, approfondita a galleria molto probabilmente per la presenza di una tomba venerata, c’è lo stucco, sfortunatamente in gran parte caduto, del Buon Pastore tra alberi, anch’essi in stucco ma che finiscono in vivace pittura di fronde e rossi frutti. All’estremità del soffitto due scene: completamente caduta quella di sinistra, a destra si conserva la figura della Vergine Maria con il Bambino sulle ginocchia e accanto un profeta, che nella sinistra tiene un rotolo e con la destra addita una stella. Dovrebbe trattarsi della profezia di Balaam: “una stella spunta da Giacobbe e uno scettro sorge da Israele” (Num. 24,15-17). La presenza del profeta sta a indicare nel Bambino il Messia atteso per secoli.
La pittura, per lo stile pompeiano primitivo, può risalire alla fine del II o all’inizio del III secolo, perciò questa è ritenuta la più antica raffigurazione della Vergine.
Ambiente ritrovato pieno di terra gettata dal lucernario aperto nel soffitto, prende il nome da due iscrizioni in greco dipinte nella nicchia destra, prima cosa vista dagli scopritori.
Riccamente decorato con pitture e stucchi di stile pompeiano, presenta una forma particolare con tre nicchie per sarcofagi e un bancone per i banchetti funebri, detti “refrigeri” o “agapi” che si svolgevano presso le tombe in onore dei morti. Il dipinto, su fondo rosso nell’arco di centro, è proprio un banchetto, che però ha un chiaro riferimento al banchetto eucaristico (celebrato occasionalmente dai cristiani presso le tombe venerate). Ai lati della tavola dove sono assise sette persone di cui la prima tende le mani nell’atto di spezzare il pane, sono raffigurati sette cestini, che alludono al miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, quando Gesù promette il pane della vita eterna.
Numerosi gli episodi del Vecchio Testamento: Noè che esce dall’arca e Mosè che fa scaturire l’acqua dalla roccia, prefigurazioni dell’acqua salvifica del battesimo; il sacrificio di Isacco; le tre storie di salvezza miracolosa del libro di Daniele (Daniele tra i leoni, i tre Giovani nella fornace, Susanna accusata di adulterio dai vecchi giudici babilonesi e salvata da Daniele ). Del Nuovo Testamento fanno parte la raffigurazione della risurrezione di Lazzaro (Gesù ha potere sulla morte); la guarigione del paralitico (Gesù ha potere sul peccato); e l’adorazione dei Magi. Quest’ultima scena è rappresentata frequentemente nei cimiteri di Roma come segno della universalità della salvezza essendo i tre re i primi pagani che adorano Cristo.